Vediamo di iniziare, da oggi, un percorso che descriverà quali sono gli strumenti legislativi a disposizione delle imprese in crisi (Legge fallimentare e successive modifiche). E il punto di vista sarà quello della mia esperienza come dottore commercialista nell'approcciare il risanamento di imprese in crisi (Turnaround Management).
Prima di scendere nel dettaglio, vorrei soffermarmi su alcuni aspetti relativi alla crisi d'impresa.
Le condizioni per poter risanare un’impresa sono 3.
Un'impresa per restare ancora in vita, per avere la possibilità di fare ricavi e utili, deve avere la possibilità di prevedere, dopo il piano di risanamento, il raggiungimento di un suo equilibrio economico. E questo equilibrio economico dipende soltanto dalla sua possibilità di riprendersi, quindi di avere mercato, prodotto e una struttura (organizzativa, patrimoniale e finanziaria) adatta al prodotto e al mercato. Per gli amanti delle definizioni, questa è la cosiddetta "Formula Imprenditoriale".
Quel che mi
domando sempre, prima di approcciare un piano di risanamento o di
ristrutturazione (vedremo, successivamente, di cosa si tratta, anche nell'ambito
della Legge Fallimentare) è:
La finanza
aziendale, posto che il prodotto e il mercato devono essere sempre solidi e
presenti, può arrivare direttamente dall'azienda o da un'azione di risanamento esterno (nuova finanza) che tenga ancora in bonis l'azienda, quindi
facendo sì che la continuità rimanga in capo all'azienda e al soggetto giuridico
che si trova in difficoltà?
Oppure siamo in una situazione di tale crisi, dove il pregiudizio della segnalazione bancaria, della appannata credibilità dell'imprenditore, dell'impresa e di tutto quello che ne deriva (su banche, fornitori, clienti, dipendenti) sono tali da comportare la necessità di interrompere il ciclo produttivo in capo al debitore e farlo andare in capo ad un nuovo soggetto. Quindi mantenere la continuità aziendale ma in capo a terzi?
Oppure siamo in una situazione di tale crisi, dove il pregiudizio della segnalazione bancaria, della appannata credibilità dell'imprenditore, dell'impresa e di tutto quello che ne deriva (su banche, fornitori, clienti, dipendenti) sono tali da comportare la necessità di interrompere il ciclo produttivo in capo al debitore e farlo andare in capo ad un nuovo soggetto. Quindi mantenere la continuità aziendale ma in capo a terzi?
A mio avviso, il primo passo di un professionista e, in generale, il vero valore aggiunto di
colui che ha l’incarico di affrontare la crisi di un’impresa, sta nella scelta dello
strumento giuridico più appropriato.
Per fare questo bisogna
essere rapidi e risoluti nei confronti del nostro imprenditore. Quando si rivolge
a me, l’imprenditore è quasi sempre già molto avanti nella sua crisi ed ha una percezione
spesso distorta della sua situazione aziendale, convinto di aver sempre molto tempo
a disposizione. In realtà, quando i segnali della crisi sono quelli che lui
ritrae dall’aver sperimentato i primi problemi con banche e fornitori e
dipendenti, è evidentemente già molto oltre la fisiologica fase di declino in
cui lui crede di essere, quella in cui è solo necessario un prevedibile intervento
di cosiddetto turnaround. L’impresa, quando chiede aiuto, quando si rivolge ad uno specialista, è
spesso, invece, già in piena crisi .
Spetta al
professionista capire quando iniziano i segnali del declino per poter percepire
se e come poter intervenire. Questo anche perché il nostro legislatore ha dato
strumenti diversi e scalabili, progressivi, per cui man mano che la crisi si aggrava anche
noi dobbiamo scendere di un gradino tra gli strumenti legislativi a disposizione.
E se noi professionisti riusciamo ad esserne capaci, dobbiamo riuscire a far
percepire al nostro interlocutore il perché sia necessario utilizzare uno strumento piuttosto
che un altro, perché man mano che scendiamo di un gradino c'è la possibilità di
chiedere un diverso sacrificio al nostro interlocutore-debitore ma anche ai
suoi creditori. L'abilità del professionista sta proprio nel riuscire a gestire
le relazioni tra tutti gli interessati, nel gestire le banche, nella comunicazione
in generale con tutti i creditori, nella capacità di far digerire e far capire
per quale motivo utilizziamo un dato strumento e, soprattutto, quali sono i rischi per i creditori e per l’imprenditore. E nel far comprendere all'imprenditore perché non debba tardare un minuto di più, soprattutto perché, se una volta esisteva il
famoso cordone sanitario costituito dalla revocatoria fallimentare nei confronti
delle banche e dei creditori, oggi questo non esiste più, perché con i 6 mesi previsti per gli atti
normali di revocatoria ed un anno per gli atti anormali, ma con le esenzioni del terzo
comma dell'articolo 67 e con l’esenzione specifica per le banche, queste non sono più interessate all'azione revocatoria, ci sono altri strumenti
cui possono attingere.
(continua...)
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