Il Transfer
Pricing è una delle pratiche commerciali transnazionali più controverse e
spesso meno comprese. Consiste in una serie di operazioni finalizzate al
trasferimento di materia imponibile, oppure alla riallocazione, in maniera
efficiente, di utili e perdite imputabili alle singole società che compongono
il gruppo, agendo sui corrispettivi contrattualmente previsti per le cessioni
di beni e prestazioni di servizi intercompany.
Quando una
società facente parte di un gruppo multinazionale vende beni, servizi o
know-how ad un'altra società del gruppo residente in un altro paese, il prezzo
praticato per tali prodotti o servizi è chiamato “prezzo di trasferimento”. Il
suo importo, per diversi motivi, potrebbe essere un prezzo puramente arbitrario,
nel senso che potrebbe non essere correlato ai costi sostenuti o alle
operazioni effettuate o al valore aggiunto generato. I motivi che potrebbero
indurre le imprese consociate a praticare prezzi di trasferimento a valori non
normali possono essere i più diversi, dal tentativo di eludere disposizioni
anti dumping a motivi di opportunità sindacale o, banalmente, di elusione
fiscale. Il prezzo di trasferimento, ad esempio, potrebbe essere fissato ad un
livello che potrebbe ridurre o addirittura annullare le imposte che,
complessivamente, il gruppo dovrebbe pagare.
Un esempio può
chiarire come i prezzi di trasferimento possano essere usati dalle
multinazionali per massimizzare i profitti da evasione fiscale ottenendo sgravi
fiscali:
la società madre, situata in un dato paese, ha una controllata in un
altro paese. La società controllata acquista merce a € 100, la riesporta dal suo
paese di residenza rivendendo la stessa merce alla società madre nel paese di
residenza di questa ad un prezzo di € 200. La prima azienda sta praticando un
prezzo di trasferimento di € 200 con un utile pari a € 200 – € 100 = € 100 e
l’azienda madre sta sostenendo costi per € 200. Avendo acquistato la merce a €
200, ipotizziamo che l’azienda madre la rivenda a € 300, con utili pari a €
100. L’utile sarà quindi pari a € 100 per l’azienda controllata e pari a € 100
per l’azienda madre, per un totale di utili per il gruppo pari a € 200.
Tuttavia, la
fiscalità delle due aziende sarà, ovviamente diversa nei due paesi di
residenza. Ipotizziamo che la controllata debba pagare imposte sulle società pari
al 20% degli utili (quindi € 20) e che la società madre, nel suo paese di
residenza subisca imposte pari al 60% degli utili (quindi imposte per € 60). Nel
complesso, le imposte pagate saranno € 20 + € 60 = € 80 e questo porterà
l’EBITDA del gruppo (l’utile ante imposte) a € 200 con un successivo utile netto
(dopo le imposte) di € 200 - € 80 = € 120. La controllata avrà contribuito per
€ 80 a determinare l’utile netto, mentre le operazioni della società madre
avranno contribuito per € 40 (l’utile al netto delle imposte per la società
madre è pari al 40% del prezzo di vendita praticato).
Tuttavia, la
controllante avrebbe potuto chiedere alla controllata di aumentare arbitrariamente
il prezzo di trasferimento ed ottenere dei risparmi fiscali anche fino ad
azzerare l’imponibile o ad andare in perdita, utilizzando le perdite, poi, per
ridurre il debito d'imposta su altre operazioni redditizie effettuate dalla
capogruppo nel paese d'origine. Quindi, se si potesse aumentare il prezzo di
trasferimento in maniera puramente arbitraria, potremmo raddoppiare il nostro utile
dopo le imposte fino al 100%. In altre parole, in assenza di regole, sarebbe
possibile per una società multinazionale minimizzare la propria fiscalità
semplicemente muovendo i prezzi d’acquisto all’interno del proprio gruppo.
Ma si noti che
nel semplice esempio su riportato le imposte pagate al governo del paese della
società controllata aumenterebbero, mentre le imposte versate al governo del
paese della società madre diminuirebbero. In altre parole, una diminuzione di
introiti in uno stato comporta sempre introiti maggiori nell'altro. Quindi ci
potrà aspettare che il primo governo legiferi contro le pratiche di transfer
pricing sleali, mentre il secondo governo cercherà di opporsi e resistere. Per
questo motivo, i paesi a fiscalità più elevata e le organizzazioni
internazionali, l’OCSE in primis, pongono barriere legislative contro gli
aspetti più arbitrari del Transfer Pricing.
In Italia l’attuale
legislazione in materia di prezzi di trasferimento si rifà al principio di “libera
concorrenza” (The “Arm's Length Principle”) indicato dall’OCSE nelle sue “Linee
guida” e al “valore normale” indicato nel comma 7 dell’art. 110 dei TUIR: “I
componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel
territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano
l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che
controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti,
dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del
comma 2, se ne deriva aumento di reddito. La presente disposizione si applica
anche per i beni ceduti e i servizi prestati da società non residenti nel
territorio dello Stato per conto delle quali l’impresa esplica attività di
vendita e collocamento di materie prime o merci o di fabbricazione o
lavorazione di prodotti.”
E l’art. 9 del
TUIR, al comma 3, definisce così il valore normale: “Per valore normale, salvo
quanto stabilito nel comma 4 per i beni ivi considerati, si intende il prezzo o
corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o
similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di
commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati
acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. per
la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai
listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi e, in
mancanza, alle mercuriali ed ai listini delle camere di commercio e alle
tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi
soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore.”
Per
determinare il “valore normale” esistono diversi metodi:
1.
metodo
del confronto del prezzo. La congruità del prezzo viene accertata confrontando
il prezzo soggetto a verifica con quello praticato per transazioni comparabili
tra imprese indipendenti;
2.
metodo
del prezzo di rivendita. Il valore normale consiste nella differenza tra il
valore al quale il bene viene ritrasferito dall’acquirente e un congruo margine
di utile;
3.
metodo
del costo maggiorato. Il valore del prezzo si ottiene sommando al costo di
produzione del bene un margine di utile lordo.
Si può
immaginare, quindi, quanto complessa possa essere la materia, prestandosi per
sua natura a muoversi tra gli intenti anti elusivi e il pericolo di limitare i
principi base della libera concorrenza. In ogni caso, le normative nazionali ed
internazionali consentono di inquadrare in modo chiaro le fattispecie in cui
vengono attuate politiche di prezzo di trasferimento tra un’azienda nazionale
ed un’azienda estera.
È anche
possibile che politiche di prezzi di trasferimento interno (“domestic transfer
price”) vengano attuate tra imprese appartenenti ad uno stesso gruppo tutte
residenti in Italia, ad esempio sfruttando a fini elusivi particolari disposizioni
fiscali agevolative quali quelle previste per le aziende residenti nel Mezzogiorno.
In questi casi lo stesso Ministero ha nel tempo dichiarato la inadeguatezza
giuridica del procedere a contestazioni nei confronti di società tutte
residenti in Italia e basate sulla disciplina generale dei prezzi di
trasferimento essendo tali norme nata per regolare casi di Transfer Pricing
transnazionale.
Tuttavia con
la sua recente sentenza n. 17955 la Corte di Cassazione nel luglio 2013 ha
stabilito che i prezzi interni di trasferimento devono seguire il principio di
piena concorrenza, ritenendo legittima la rettifica dei prezzi di trasferimento
delle transazioni tra una società controllante e la controllata residente e
beneficiaria delle agevolazioni per il Mezzogiorno. La sentenza ha chiarito l'applicazione
del principio di libera concorrenza in ambiente fiscale nazionale. In sostanza
la Corte Suprema, nel difendere l'uso delle norme sui prezzi di trasferimento, ha
messo in evidenza come l'Italia stia recependo sempre più profondamente le
norme sui prezzi di trasferimento internazionali, come, d’altro canto, sta
facendo il resto dei paesi d'Europa. Riconoscendo l'importanza del principio di
libera concorrenza, la Corte Suprema ha affermato che le norme sui prezzi di
trasferimento sono conformi a i principi comunitari, alla legislazione fiscale
nazionale e costituiscono un meccanismo importante contro l'evasione fiscale.
La questione
di fatto oggetto della pronuncia della Cassazione n. 17955 del 2013 è la
contestazione dell’ufficio finanziario dell’anti-economicità del ricarico del
4% (in luogo di quello del 10,09%) applicato alle cessioni effettuate da una
società residente controllante di altra società parimenti residente (poi
incorporata per fusione) beneficiaria delle agevolazioni fiscali in tema di
imposte dirette previste per il Mezzogiorno.
Nel giudizio
di legittimità, la difesa erariale ha opposto la violazione dell'articolo 9,
comma 3, del TUIR sostenendo che il criterio legale del valore normale delle
operazioni infragruppo “rileva non solo nei rapporti internazionali di
controllo, ma anche in analoghi rapporti di diritto interno, ogniqualvolta con
la fissazione di un prezzo fuori mercato si miri a far emergere utili presso la
società del gruppo che sconta, anche per agevolazioni territoriali, la più
bassa tassazione”.
La legittimità
dell’applicazione del criterio del valore normale anche alle transazioni
intervenute tra società dello stesso gruppo residenti è stata riconosciuta dai
giudici di legittimità, ancorché si sia dato atto che solamente nei rapporti
internazionali infragruppo è ammessa tale rettifica in base al combinato disposto
dell'articolo 110, comma 7, del Tuir (nel testo vigente, mentre ante 2004 cfr
l’articolo 76) e dell'articolo 9, comma 3, che legittima l’ufficio finanziario
a disattenderne prezzi e corrispettivi, in virtù del valore corrente dei beni
e/o servizi scambiati e a rettificare i dati reddituali con aumento
dell'imponibile.
Da tale
impostazione emerge il principio secondo cui “per la valutazione delle manovre
sui prezzi di trasferimento interni va applicato il principio, avente valore
generale, stabilito dall’art.9 del TUIR che non ha soltanto valore contabile e
che impone, quale criterio valutativo, il riferimento al normale valore di
mercato per corrispettivi e altri proventi, presi in considerazione dal
contribuente”.
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